domenica 12 settembre 2010

Lo stato di salute della scuola (innovazione e riforme -1)


La riforma nazionale e quella trentina hanno destato preoccupazioni, rispetto alle conseguenze in termini di occupazione (Gelmini) o di tempo scuola richiesto ai docenti (Dalmaso). Sul piano della qualità dell’istruzione è molto avvertita, a livello sociale, l’esigenza di cambiamenti; mentre dentro le scuole si rivendica fortemente l’autonomia nelle scelte didattiche. Le riforme sono sintomatiche di un mutamento nelle richieste sociali di formazione scolastica e rappresentano un tentativo di risposta ad esse. Ma quanto una riforma può davvero innovare la realtà quotidiana dell’aula?  
Sul Corriere della Sera, Maurizio Ferrara saggiamente osserva che “materie e programmi da soli non sono garanzia di qualità”[1] e cita Roger Abravanel (Corriere 6 settembre) secondo cui: “il fattore chiave è la bravura dei docenti nel formare quelle competenze che preparano alle sfide della vita: capacità di comprensione ed espressione, di risoluzione dei problemi e di interazione sociale, ragionamento logico e — più in generale — vivacità e curiosità intellettuali”.
Non v’è dubbio che la qualità della scuola si identifichi in gran parte con le qualità umane dei docenti (empatia, comunicazione, tenacia e ottimismo educativo, capacità organizzative, riflessione e disponibilità al cambiamento). Non è questione di carisma, ma di attitudini personali che si raffinano con l’esperienza.
Il cuore della relazione educativa rimane stabile, ma cambiano le condizioni sociali in cui si colloca la scuola. La scuola degli anni Cinquanta (di forte ispirazione democratica, con aperture alla didattica laboratoriale, ma ancora legata a una società ancora in bilico tra economia rurale e industriale) è stata sostituita gradualmente dalle riforme degli anni Ottanta (in cui si è tentato di rafforzare la comprensione di ciò che viene appreso, con un approccio più rigoroso alle “discipline”). Oggi ci si accorge che la scuola è ancora troppo nozionistica e che non sempre il sapere si traduce in un competente saper fare e agire, nei contesti reali. Inoltre i saperi forniti dalla scuola appaiono invecchiare con rapidità, rispetto alla imprevedibilità con cui si trasformano la società e le tecnologie. E si tentano nuove strade nella organizzazione didattica, mirate a sviluppare davvero le “competenze” dei ragazzi “per la vita”.
Il cambiamento si rende necessario e opportuno; ma potrà davvero realizzarsi solo se le riforme non verranno percepite come una imposizione. Un curricolo (provinciale o nazionale) costituisce solo uno schema di lavoro, contenente molte ipotesi e suggerimenti da verificare nella loro efficacia. Solo se nelle scuole emergerà la convinzione che è arrivato il momento per ripensare a un “periodo” della storia della scuola, per compiere un bilancio e ripartire con maggiore entusiasmo, solo in questo caso si potrà gradualmente cambiare direzione. Ma anche in questo caso si potrà procedere purché vi sia un sistema scuola capace di sostenere il cambiamento, con occasioni di riflessione e formazione, con esperti forniti alle scuole, con modelli di lavoro innovativi.
Certo, non aiutano le condizioni professionali dei docenti, oggettivamente inadeguate;  e non aiuta la irrisorietà degli incentivi che possono essere attualmente forniti agli insegnanti disponibili a un maggiore impegno. Non si tratta di un impedimento, ma di un ostacolo da non sottovalutare: a queste condizioni occorre molta cautela nel dosare le risorse umane e economiche a disposizione, e rinunciare al galoppo per il piccolo trotto.


[1] Maurizio Ferrara, la qualità dell’istruzione, Corriere della sera  11 settembre 2010 (http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_11/qualita-istruzione-editoriale-ferrera_f3e71726-bd61-11df-bf84-00144f02aabe.shtml).

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